mercoledì 31 marzo 2021

MOBBING O STRAINING?

 


 Sono sempre di più i lavoratori e le lavoratrici che lamentano la mancanza di una adeguata tutela psicofisica sul luogo di lavoro.

         Accanto alla ormai nota fattispecie giuridica del Mobbing si sta diffondendo un nuovo disagio lavorativo, lo Straining.        Tentiamo quindi di fare un minimo di chiarezza circa la differenza sostanziale tra le due fattispecie giuridiche, senza però voler formulare alcun giudizio giuridico e professionale.

         Sappiamo già che nel mobbing sono incluse tutte quelle situazioni lavorative nelle quali vengono poste in essere, dal datore di lavoro o anche dai colleghi, azioni persecutorie e vessatorie che, ripetute nel tempo, causano  un danno alla salute psicofisica del lavoratore o della lavoratrice.

          In tutti questi casi responsabile di tali condotte è sempre il datore di lavoro in quanto spetta a lui il compito di garantire la salute dei suoi dipendenti non solo fisica bensì anche psicologica.

         Il datore di lavoro ha infatti l’obbligo di verificare e rimuovere tutti quegli ostacoli che rendono l’ambiente di lavoro ostile, causando disagio ai dipendenti. Tali ostacoli sono per lo più comportamenti offensivi ed oppressivi diretti ad un soggetto al fine di renderlo incapace di compiere con serenità le proprie prestazioni lavorative. Da tali condotte possono derivare danni consistenti alla salute del lavoratore quali ad esempio, stati di ansia, più o meno gravi, malattie cardiovascolari o gastrointestinali, malattie della pelle o dei disturbi ad essa connessi. Affinché si verifichi tale fattispecie giuridica, che legittima il lavoratore ad agire nei confronti del proprio datore di lavoro per il risarcimento dei danni subìti, tali condotte devono essere però costanti e protratte nel tempo.

            Il datore di lavoro, sebbene non autore diretto delle condotte vessatorie,  è ritenuto responsabile quando omette di adottare tutte quelle misure idonee a tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore in virtù degli obblighi imposti dall’art. 2087 c.c. e, se informato dalla vittima delle condotte vessatorie poste in essere, ha l’obbligo di agire a tutela dell’integrità morale della stessa.

         Da ciò discende, come rilevato dalla giurisprudenza, che la mancata predisposizione di tutti i dispositivi atti a tutelare la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro viola l'art. 32 Cost., che garantisce il diritto alla salute come primario ed originario dell'individuo, ed altresì l'art. 2087 c.c., che, imponendo la tutela dell'integrità psico-fisica del lavoratore da parte del datore di lavoro prevede un obbligo, da parte di quest'ultimo, che non si esaurisce "nell'adozione e nel mantenimento perfettamente funzionale di misure di tipo igienico-sanitarie o antinfortunistico", ma attiene anche - e soprattutto - alla predisposizione "di misure atte a preservare i lavoratori dalla lesione di quella integrità nell'ambiente o in costanza di lavoro anche in relazione ad eventi, pur se allo stesso non collegati direttamente ed alla probabilità di concretizzazione del conseguente rischio".

          La condotta vessatoria reiterata e protratta nel tempo differenzia le ipotesi di Mobbing dallo Straining, fattispecie giuridica nella quale è assente la condotta continuativa e ripetuta in quanto la vittima subisce un danno alla propria salute per effetto di un’unica condotta posta in essere dal datore di lavoro o da un suo superiore. Tale fattispecie si verifica, pertanto, a seguito di un’unica e determinata azione dalla quale deriva una situazione sfavorevole al lavoratore o alla  lavoratrice in ordine alla gestione e all’ adempimento delle proprie mansioni e/o prestazioni professionali, con conseguenze deleterie per l’equilibrio psicologico (ansia, depressione ecc..).La Suprema Corte, nel tentativo di dare una definizione dello Straining ha evidenziato la differenza sostanziale di esso dal Mobbing allorquando, si legge nella ordinanza 19.02.2018 n.3977(Cass.Civile sez. Lavoro), afferma che lo Straining altro non è se non “una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie…”, azioni che, peraltro, ove si rivelino produttive di danno all’integrità psico-fisica del lavoratore, giustificano la pretesa risarcitoria fondata sull’art. 2087c.c.

 

         Possiamo ad es. pensare ad un demansionamento, ad una condizione improvvisa di isolamento rispetto agli altri colleghi, ad una dequalificazione professionale, ad un ambiente di lavoro disagiato.

         Si può affermare che lo Straining è ravvisabile in tutti quei casi  in cui il datore di lavoro adotta iniziative idonee a ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante condizioni lavorative “stressogene” ( cass. 3291 del 2016) o anche come una situazione lavorativa conflittuale di stress forzato, in cui la vittima subisce azioni ostili limitate nel numero e/o distanziate nel tempo (quindi non rientranti nei parametri del mobbing) ma tali da provocarle una modificazione in negativo, costante e permanente, della condizione lavorativa;  il suddetto "stress forzato" può essere provocato appositamente ai danni della vittima con condotte caratterizzate da intenzionalità o discriminazione e può anche derivare dalla costrizione della vittima a lavorare in un ambiente di lavoro disagevole, per incuria e disinteresse nei confronti del benessere lavorativo.

          Affinchè si verifichi una situazione di Straining è sufficiente anche un'unica azione ostile purché essa provochi conseguenze durature e costanti a livello lavorativo, tali per cui la vittima percepisca di essere in una continua posizione di inferiorità rispetto ai suoi aggressori.  I parametri per riconoscere lo Straining possono essere ricondotti all’ambiente lavorativo, alla frequenza e alla durata dell'azione ostile, ad azioni dirette a colpire i contatti umani o anche a provocare un isolamento sistematico, o, ancora possono riguardare cambiamenti delle mansioni, attacchi contro la reputazione della persona, violenza o minacce di violenza.

Avv. Angela Collia

sabato 20 marzo 2021

Discriminazione diretta: mancato rinnovo del contratto a termine della lavoratrice in gravidanza

 

    L’art. 37  comma 1 della Costituzione sancisce per la donna lavoratrice gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Inoltre, è  costituzionalmente previsto che le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare ed assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. 

    In virtù di tale principio costituzionale, la legge n. 903/1977 ha espressamente vietato qualsiasi discriminazione fondata sul sesso in ordine all’accesso al lavoro, alle modalità di assunzione, in qualsiasi settore e ad ogni livello gerarchico. Tuttavia, sebbene nel corso degli anni si è tentato di attuare una politica orientata al raggiungimento della uguaglianza e parità in ambito lavorativo tra donne e uomini, le difficoltà incontrate dalle donne per raggiungere la parità dei loro diritti lavorativi si sono rivelate superiori ai criteri attuativi delle norme sopra citate.

          Pertanto è stato necessario intervenire ulteriormente a livello legislativo con l’emanazione del “Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna”, D. Lgs. 11 aprile 2006 n. 198.

         Il codice mira ad eliminare e prevenire qualsiasi discriminazione a livello lavorativo basata sul sesso e delinea gli ambiti in cui deve essere salvaguardata la parità di trattamento tra uomini e donne.

             La norma espressamente vieta qualsiasi forma di discriminazione in ordine all’accesso al lavoro, nei criteri di selezione o in riferimento alle condizioni di assunzione ( art. 27 D. Lgs. n. 198/2006). Viene vietato qualsiasi meccanismo di preselezione in cui viene indicato quale criterio preferenziale l’appartenenza all’uno o all’altro sesso. I divieti si applicano anche  alle iniziative in materia di orientamento, formazione, perfezionamento e aggiornamento professionale per quanto concerne sia l’accesso sia i contenuti. Nei concorsi pubblici  e nelle altre forme di selezione, sia da parte di privati sia da parte delle pubbliche amministrazioni, la prestazione richiesta  deve essere accompagnata dalle parole “dell’uno o dell’altro sesso” ad eccezione del caso in cui il sesso è un requisito essenziale per la natura del lavoro o della prestazione.  La normativa infatti contiene alcune deroghe al divieto quale ad esempio il caso di mansioni di lavoro particolarmente pesanti individuate attraverso la contrattazione collettiva oppure attività della moda, dell’arte e dello spettacolo quando ciò sia essenziale alla natura del lavoro o della prestazione.

     Per quel che concerne il significato della parola “discriminazione” possiamo affermare che in essa rientrano anche tutti quei comportamenti inopportuni, intimidatori o anche a contenuto sessuale  posti in essere in ambito lavorativo e diretti a violare la dignità del lavoratore o della lavoratrice, soprattutto quando ques'ultimi si trovino nella condizioni di espletare l’attività lavorativa subendo e sopportando i suddetti comportamenti.

     La Suprema Corte con una recente sentenza ( n. 5476/2021) ha ritenuto discriminatorio il mancato rinnovo del contratto a termine ad una lavoratrice in stato interessante. La Cassazione ha precisato che il comportamento del datore di lavoro integra una discriminazione basata sul sesso, atteso che, rispetto ad altri lavoratori che sono stati mantenuti in servizio con contratti analoghi, alla lavoratrice è stato riservato un trattamento meno favorevole in ragione del suo stato di gravidanza.

 Avv. Angela Collia

 

Centro di ascolto Caritas, Parrocchia Sant'Anna in Vaticano

 

      Il centro Caritas della Parrocchia Sant’Anna in Vaticano ha attivato il servizio “Tutela del Diritto alla Vita e Consulenza Giuridica”.

Il servizio si propone di fornire un adeguato sostegno, morale e giuridico, a tutte quelle situazioni familiari in cui risulta leso il Diritto alla Vita, dal concepimento alla morte naturale, anche in conformità a quanto stabilito dalla lettera “Samaritanus Bonus”, sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita .

    Gli incontri mirano ad aiutare gli interessati e/o i loro familiari a comprendere  le ragioni, di origine economica, sociale o personale, che possono indurre ad intraprendere una scelta errata in caso di  gravidanza indesiderata o difficile, come anche in caso di assistenza e cura al malato in una fase delicata o terminale.

     Durante il colloquio si discute insieme sui possibili rimedi e soluzioni alternative e si valutano anche le conseguenze di tali scelte nella sfera psico-fisica di chi agisce, senza voler operare alcuna illegittima interferenza nella decisione finale.

        L’attività di consulenza, prestata da validi professionisti in modo gratuito, si svolge il martedì dalle ore 16 alle ore 17 e riguarda  altresì ogni questione attinente il diritto civile e di famiglia, anche solo 
per un confronto in questo perido di crisi pandemica

Avv. Angela Collia

lunedì 22 ottobre 2018

Sostenere la famiglia: il ruolo del consulente familiare e della mediazione nella crisi della coppia. Aspetti giuridici e tutela della salute psicofisica

In data 19.10.2018 si è tenuto a Roma, presso la casa editrice Pagine, un importante convegno dal titolo "Sostenere la famiglia: il ruolo del consulente familiare e della mediazione nella crisi della coppia. Aspetti giuridici e tutela della salute psicofisica".

 Gli autorevoli relatori intervenuti hanno offerto vari spunti e argomenti di riflessione per un tema particolarmente sentito a causa del notevole impatto sociale che la Famiglia riveste.

E'stato sottolineato dall'Avv. Angela Collia, che ha introdotto i lavori, come il malessere familiare spesso genera malessere all'interno della società.  Le crisi coniugali, sempre più in aumento, spesso sono generate da cause già preesistenti al matrimonio o anche da disturbi psicologi, più o meno gravi, che rendono i coniugi incapaci di adempiere ai doveri coniugali. 

Avv. Angela Collia
Dott. Luciano Lucarini


Dopo un gradito saluto da parte del Dott. Lucarini, titolare della Casa editrice, affermati professionisti hanno approfondito le cause dei fallimenti matrimoniali e i rimedi che l'ordinamento giuridico, civile e canonico, appresta  per la tutela e salvaguardia della dignità dei coniugi e per la risoluzione di situazioni conflittuali familiari.
Sono intervenuti l'Avv. Sabino Piacenza, Responsabile dell'Ente di Mediazione Metaconciliazione, l'Avv. Paola Luzi, Avvocato del Tribunale Apostolico della Rota Romana, la Dott.ssa Immacolata Piacenza, Psicologa e Psicoterapeuta.
Avv. Sabino Piacenza

Avv. Paola Luzi
Dott.ssa Immacolata Piacenza




















Ha concluso i lavori il Senatore Domenico Scilipoti Isgrò. Il  Senatore è stato promotore di numerose iniziative legislative a favore della Famiglia, quale ad esempio l'interrogazione parlamentare finalizzata a richiedere l'intervento del Governo affinchè la FAMIGLIA sia inserita nella lista dei beni immateriali patrimonio dell'umanità UNESCO.
Senatore Domenico Scilipoti Isgrò
 Il Senatore si è sempre prodigato per la tutela di tale istituto, lottando nelle aule parlamentari per ostacolare qualsiasi iniziativa legislativa in contrasto con i valori cristiani sui quali si fonda la famiglia tradizionale. 



martedì 12 dicembre 2017

Scilipoti Isgrò: disposizioni per lo sviluppo psico fisico del minore e valorizzazione del rapporto affettivo con i nonni


Si trasmette di seguito il Disegno Di Legge di iniziativa del Senatore Domenico Scilipoti Isgrò  recante disposizioni 

"Per l'istituzione di un fondo vacanza per la promozione dello sviluppo psico-fisico del minore e la valorizzazione del rapporto affettivo con gli ascendenti"



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Il benessere psicofisico   dell’uomo si raggiunge attraverso uno stato di vita dignitoso e felice fin dall’infanzia, considerato che proprio in questo periodo della vita si pongono le fondamenta per la formazione di una struttura adulta psicologicamente sana ed equilibrata. È quindi fondamentale che il bambino viva in un ambiente il più possibile sereno affinché sviluppi un carattere fiducioso ed una personalità felice, qualità necessarie per affrontare e superare nel corso dell’esistenza umana ogni difficoltà e avversità.
Pertanto, spetta agli adulti, alla famiglia e alle istituzioni cooperare per assicurare ai bambini, in ogni ambito e periodo della vita, condizioni ludiche, sociali e culturali adeguate e ben organizzate affinché essi possano divenire adulti maturi e privi di rilevanti psicopatologie.
Il nostro ordinamento non contempla espressamente un «diritto alla felicità» ma esso è implicitamente riconosciuto dall'articolo 3 della Costituzione laddove prevede che la Repubblica ha il compito di rimuovere tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Tale diritto è invece espressamente previsto dalla Dichiarazione di indipendenza Americana del 4 luglio 1776, la quale riconosce il diritto alla felicità di tutti gli uomini: «... che tutti gli uomini sono stati creati eguali, che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità».
Per quel che concerne in modo particolare i bambini e gli adolescenti, fino al raggiungimento della maggiore età, è obbligo dello Stato garantire un sereno e felice percorso di crescita.
La dichiarazione universale dei diritti del fanciullo, approvata dall'Assemblea Generale dell’ONU il 20 novembre 1959 prevede espressamente il «diritto alla felicità». Il preambolo della predetta dichiarazione recita infatti: «L’Assemblea Generale proclama la presente Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo affinché esso abbia una infanzia felice e possa godere, nell'interesse suo e di tutta la società, dei diritti e delle libertà che vi sono enunciati; invita i genitori, gli uomini e le donne in quanto singoli, come anche le organizzazioni non governative, le autorità locali e i governi nazionali a riconoscere questi diritti e a fare in modo di assicurare il rispetto per mezzo di provvedimenti legislativi e di altre misure da adottarsi gradualmente».
Inoltre l’articolo 6 della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata dalla legge 27 maggio 1991, n. 176, dispone che gli Stati parti si impegnino a garantire nella più alta misura possibile la sopravvivenza e lo sviluppo del fanciullo.
Ma se andiamo ad approfondire l’evoluzione della tematica nel tempo notiamo l’importanza delle attività ricreative. 
L’articolo 31 della suddetta convenzione considera il gioco come strumento per partecipare liberamente alla vita artistica e culturale: «1. Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo ed allo svago, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età, ed a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica. 2. Gli Stati parti devono rispettare e promuovere il diritto del fanciullo a partecipare pienamente alla vita culturale ed artistica ed incoraggiano l’organizzazione
di adeguate attività di natura ricreativa, artistica e culturale in condizioni di uguaglianza».
Proprio attraverso il gioco il bambino potrà realizzare il pieno sviluppo della propria persona e garantire una sana partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese (articolo 3, secondo comma, della Costituzione). Come l’adulto necessita di un congruo periodo di ferie, al fine di riposare la mente e il fisico, così anche in tenera età è necessario prevedere un periodo di evasione dalle normali attività quotidiane (scuola, attività sportive, e così via). È noto infatti che
dopo un periodo di vacanza, inteso anche come momento per evadere dalla routine,
spesso fonte di stress, si riprendono le normali attività con più energia.
Ma ciò che esige una particolare attenzione è la possibilità di condividere questi periodi con familiari considerati a volte estranei al nucleo familiare, composto in genere dai soli genitori e figli. Alcuni legami familiari, che durante l’anno a causa dei ritmi e delle diverse esigenze si è soliti trascurare,
in vacanza si rafforzano e acquistano una diversa valenza affettiva. È ormai consolidata l’importanza che riveste in ambito familiare e sociale il ruolo del nonno.
Nelle famiglie moderne, dove entrambi i genitori lavorano, la cura e l’assistenza dei nipoti è affidata spesso ai nonni. Peraltro tale figura assume una notevole importanza per l’arricchimento culturale e sociale del minore, considerata l’esperienza maturata dagli anziani e la capacità degli stessi di tramandare ai loro nipoti ricordi, esperienze e tradizioni della famiglia.
Abbiamo assistito nel corso degli anni ad una disgregazione dei valori umani basati sui legami di sangue. L’aumento delle separazioni e dei divorzi ha comportato l’affievolirsi dei legami con i nonni paterni e materni in quanto l’inasprirsi dei rapporti tra i coniugi ha, di conseguenza, creato malesseri
e dissapori con il ramo ascendente dell’altro coniuge, impedendo spesso la creazione di
validi legami affettivi tra i bambini e i loro nonni. Per tale motivo è necessario intervenire creando le giuste premesse per ristabilire rapporti basati su vincoli di sangue e tramandare tradizioni familiari.
La vacanza, costituendo un’occasione di crescita personale e di conoscenza reciproca, è essenziale per la dignità della persona in quanto esperienza positiva idonea ad aumentare lo stato di felicità e di benessere psicofisico.

L’identità di una persona si costruisce sin dall’infanzia e la possibilità di viaggiare contribuisce in modo notevole alla formazione di una personalità adulta psicologicamente integra. Assicurare un periodo di vacanza ai bambini e adolescenti, in un luogo diverso da dove abitualmente risiedono, significa far conoscere loro luoghi e culture differenti, creare stimoli nuovi per un sano sviluppo intellettivo e cognitivo. Esigenze lavorative dei genitori, campi scuola limitati ad una settimana o al massimo quindici giorni fanno sì che la maggior parte del tempo venga trascorso dai minori nella propria casa, magari dinanzi alla televisione o, abitudine ora diffusa, giocando e «chattando» sui vari «social», con ovvie conseguenze deleterie per lo sviluppo psico-fisico degli stessi (basti pensare a situazioni di obesità giovanile, problemi di socialità, eccetera), nonché pericolose se consideriamo la possibilità che essi vengano contattati da persone senza scrupoli, influenzando così negativamente il loro percorso di crescita.
Si impone quindi un intervento legislativo, al fine di prevenire tali situazioni.
Permettere ai minori di poter trascorrere un periodo di vacanza, anche extra rispetto al consueto periodo trascorso con i genitori, non inferiore ad una settimana, in un posto nuovo, che sia una località marina o montana o anche una città d’arte, significa dare un valido contributo per la formazione di una personalità adulta, sana ed equilibrata.

Il periodo migliore per un viaggio, che abbia una finalità turistica, ricreativa o culturale, è certamente il periodo dell’anno che decorre dalla chiusura dell’anno scolastico (giugno) fino alla ripresa delle attività didattiche (seconda settimana di settembre).
Ma il presente disegno di legge ha un ulteriore obiettivo: consolidare e rafforzare i legami familiari, in modo particolare il legame affettivo esistente tra il minore ed i suoi ascendenti, ossia i nonni, considerandoli parte integrante, e non secondaria, del nucleo familiare.
L’articolo 317-bis del codice civile, sostituito dall'articolo 42 del decreto legislativo n. 154 del 2013 prevede infatti che: «Gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni».
Il presente disegno di legge rappresenterebbe quindi l’applicazione concreta di tale normativa, idonea peraltro a suscitare un notevole impatto sociale, etico e morale nei confronti di quei nonni che, raggiunta una certa età, si trovano spesso ai margini della società, messi in disparte e privi di riferimenti affettivi, soprattutto in caso di conflitti tra i genitori allorquando ai nonni viene addirittura
impedito di vedere i loro nipoti e trascorrere un periodo di tempo con loro.
La Corte di Appello di Venezia, sezione minori civile, con decreto del 24 dicembre 2015 in relazione al citato articolo 317-bis del codice civile, si è così espressa: «... pur non attribuendo ai nonni un diritto autonomo di visita dei nipoti, nel prevedere che debbano essere assicurati tra gli stessi, rapporti significativi riconosce l’importanza che assume nella vita e formazione educativa dei minori anche la conoscenza e frequentazione dei nonni in funzione di una loro crescita serena ed equilibrata (confronta la sentenza della Corte di cassazione, sezione I civile, n. 17191 dell’11 agosto 2011) quali componenti delle famiglie allargate nel cui interno essi sono collocati e della quale fanno parte; la presenza dei nonni, inoltre, assume rilevanza quale necessaria conoscenza che i minori debbano avere delle proprie origini (...) d’altra parte, rientrando la ripresa o creazione ex novo, dei contatti con i nonni nel necessario bagaglio di esperienze e culturale che i minori debbano avere in vista di una formazione completa della loro personalità, si ritiene che nell’interesse dei figli sia specifico compito dei genitori accantonare detti vecchi contrasti».
Nel messaggio trasmesso dalla Nunziatura di Madrid in data 25 luglio 2015 anche Papa Francesco ha ribadito il suo sostegno «a quanti si prendono cura degli anziani con amore contribuendo al bene comune della società», e in occasione dell’incontro con l’Associazione nazionale lavoratori anziani, il giorno 15 ottobre 2016, il Santo Padre si esprimeva: «La Chiesa guarda alle persone anziane con affetto, riconoscenza e grande stima. Esse sono parte essenziale della comunità cristiana e della società.
Non so se avete sentito bene: gli anziani sono parte essenziale della comunità cristiana e della società. In particolare rappresentano le radici e la memoria di un popolo. Voi siete una presenza importante, perché la vostra esperienza costituisce un tesoro prezioso, indispensabile per guardare al futuro con speranza e responsabilità. La vostra maturità e saggezza, accumulate negli anni, possono aiutare i più giovani, sostenendoli nel cammino della crescita e dell’apertura all'avvenire, nella ricerca della loro strada.
Gli anziani, infatti, testimoniano che, anche nelle prove più difficili, non bisogna mai perdere la fiducia in Dio e in un futuro migliore.
Sono come alberi che continuano a portare frutto: pur sotto il peso degli anni, possono dare il loro contributo originale per una società ricca di valori e per l’affermazione della cultura della vita (...). È importante anche favorire il legame tra generazioni.
Il futuro di un popolo richiede l’incontro tra giovani e anziani: i giovani sono la vitalità di un popolo in cammino e gli anziani rafforzano questa vitalità con la memoria e la saggezza. E parlate con i vostri nipotini, parlate. Lasciate che loro vi facciano domande. Sono di una peculiarità diversa
dalla nostra, fanno altre cose, a loro piacciono altre musiche ..., ma hanno bisogno degli anziani, di questo dialogo continuo.
Anche per dare loro la saggezza. Mi fa tanto bene leggere di quando Giuseppe e Maria portarono il Bambino Gesù – aveva quaranta giorni, il bambino – al tempio; e lì trovarono due nonni (Simeone e Anna), e questi nonni erano la saggezza del popolo; lodavano Dio perché questa saggezza potesse andare avanti con questo Bambino. Sono i nonni ad accogliere Gesù nel tempio, non il sacerdote: questo viene dopo. I nonni. E leggete questo, nel Vangelo di Luca, è bellissimo».
Si comprende bene l’importanza della presente iniziativa legislativa intesa a valorizzare la figura dei nonni, a colmare la carenza affettiva di cui sovente soffrono e a concedere loro una ben definita funzione sociale, ossia la compartecipazione alla educazione, alla formazione culturale e allo sviluppo psico-fisico dei minori. Inoltre non dobbiamo sottovalutare che nella mente di un bambino o di un adolescente la condivisione di un periodo di vacanza con i nonni costituirebbe un ricordo indelebile per tutto il resto della loro vita.

DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
(Definizione e finalità)
1. La presente legge è volta a:
a) stimolare lo sviluppo psico-fisico dei
minori riconoscendo loro la possibilità di
usufruire di un periodo di vacanza, per finalità
turistiche, ricreative e culturali, in una
località italiana, di mare o di montagna o
anche in città d’arte;
b) incentivare, sostenere e valorizzare il
rapporto affettivo del minore con i nonni,
paterni e materni, prevedendo la loro partecipazione
in qualità di accompagnatori per
il periodo di vacanza di cui alla lettera a),
secondo modalità e condizioni di cui alla
presente legge.
Art. 2.
(Beneficiari)
1. Possono usufruire del beneficio economico
di cui all'articolo 4, comma 2, i minori
di età compresa tra gli otto e i sedici anni,
nati e residenti in Italia, figli di genitori di
nazionalità italiana, siano essi coniugati,
conviventi, separati o divorziati, accompagnati
dai loro nonni in linea paterna o materna,
di età compresa tra i sessantacinque
e gli ottanta anni.
2. Sono esclusi dal beneficio di cui all'articolo
4, comma 2, i nonni materni o nonni
paterni, il cui reddito annuo è superiore a
30.000 euro.
3. Sono altresì esclusi dal beneficio eventuali
coniugi o conviventi degli ascendenti.

Art. 3.
(Modalità di attuazione)
1. I minori di cui all’articolo 2, comma 1,
possono beneficiare del contributo economico
previsto dalla presente legge da utilizzare
per un periodo di vacanza della durata
di sei notti consecutive, di seguito denominato
«soggiorno lungo» ovvero di due periodi
della durata di tre notti consecutive,
ciascuno di seguito denominato «soggiorno
breve». I genitori dei minori, di comune accordo,
possono decidere se il soggiorno
lungo è trascorso dal figlio minore o dai figli
minori unitamente ai nonni di entrambi i
rami familiari, oppure in due periodi diversi,
suddivisi in due soggiorni brevi.
2. Qualora il beneficio sia concesso per
un soggiorno lungo con i nonni di un solo
ramo, paterno o materno, non è possibile
utilizzare nello stesso anno il beneficio con
gli ascendenti dell’altro ramo familiare.
3. Il periodo in cui i minori, accompagnati
dai loro nonni, possono usufruire del beneficio
economico di cui all’articolo 4, comma
2, deve essere compreso tra la chiusura dell’anno
scolastico, nel mese di giugno, e la
ripresa delle attività didattiche, nel mese di
settembre.
4. Il beneficio può essere utilizzato dal
minore con gli ascendenti, sia congiuntamente
con uno o più ascendenti, sia in periodi
diversi, per una settimana all’anno e
per un massimo di quattro settimane nel
corso degli anni. Nel caso in cui il beneficio
sia stato utilizzato dal minore con un ascendente
per il soggiorno breve di tre notti, è
consentito che il rimanente soggiorno breve
di tre notti possa essere utilizzato dal minore
con lo stesso ascendente in altra località diversa
da quella già effettuata.

Art. 4.
(Misure a sostegno)
1. Con decreto del Ministero del lavoro e
delle politiche sociali, di concerto con il Ministero
dell’economia e delle finanze è istituito,
utilizzando personale già in servizio,
un apposito ente presso il Ministero del lavoro
e delle politiche sociali, al fine di valutare
ogni anno le risorse disponibili per la
costituzione di un Fondo per le finalità di
cui alla presente legge e il suo ammontare.
Spetta all’ente costituito esaminare le domande
presentate secondo le modalità di
cui all’articolo 5 e procedere alla erogazione
del contributo ai richiedenti. Sono esaminate
le domande secondo l’ordine cronologico di
presentazione fino al limite dell’importo disponibile
stanziato ogni anno dall’ente preposto.
2. Ogni famiglia può godere di un contributo
pari a 300 euro a persona, per il minore
e per i nonni, nel caso di soggiorno
lungo, o pari a 150 euro per il periodo di
soggiorno breve, da erogare per le finalità
di cui alla presente legge. La somma può essere
aumentata fino a 600 euro per il soggiorno
lungo e fino a 300 euro per il soggiorno
breve, per persona, qualora dalla dichiarazione
ISEE dell’anno precedente, presentata
dai genitori del minore, risulti un
reddito annuo, per tutto il nucleo familiare,
inferiore a 10.000 euro.
Art. 5.
(Requisiti e modalità di presentazione della
domanda)
1. I genitori che intendono usufruire del
beneficio devono presentare domanda all’ente
di cui all’articolo 4 secondo le modalità
e i termini pubblicati sul sito del Ministero
del lavoro e delle politiche sociali
ogni anno entro la fine mese di febbraio.
Entro il suddetto termine l’ente preposto
provvede a determinare la somma da stanziare
ogni anno per le finalità di cui all’articolo
1 e le modalità e i termini di presentazione
delle domande. Entro trenta giorni
dalla scadenza del termine di presentazione
delle domande l’ente preposto provvede a
stilare l’elenco delle persone ammesse al beneficio.
2. Le domande, corredate di idonea documentazione
relativa alla situazione reddituale
degli ascendenti e, in caso di reddito inferiore
a 10.000 euro annui, del nucleo familiare
del minore, nonché di idonea attestazione
che accerti il grado di parentela dell’ascendente
con il minore, sono accettate fino
al totale raggiungimento del limite annuo
stanziato ai sensi del comma 1.
Art. 6.
(Centro di orientamento)
1. È istituito, presso l’ente costituito ai
sensi dell’articolo 4, un Centro di orientamento
operante a livello nazionale attraverso
una piattaforma online, che coadiuva le famiglie
interessate nella organizzazione dei
periodi di soggiorno, a seconda delle esigenze
e delle età dei nonni e dei nipoti minori.
2. È compito del Centro fornire assistenza
al nucleo familiare in vacanza reperendo, in
caso di necessità anche attraverso associazioni
di volontariato, personale idoneo a
coadiuvare i nonni e i loro nipoti minori.
Art. 7.
(Disposizioni finali)
1. La presente legge entra in vigore il
giorno successivo a quello della sua pubblicazione
nella Gazzetta Ufficiale.

giovedì 3 agosto 2017

La vita umana inizia dal concepimento. No all'aborto. Proposta di Legge Senatore Scilipoti Isgrò

 SENATO DELLA REPUBBLICA
DISEGNO DI LEGGE
di iniziativa del Senatore Scilipoti Isgrò
NORME IN MATERIA DI INTERRUZIONE DELLA GRAVIDANZA E ABROGAZIONE DELLA LEGGE 22 MAGGIO 1978, N. 194
ONOREVOLI SENATORI - A prescindere da ogni considerazione di carattere medico o religioso, dalla data di entrata in vigore della legge n. 194 del 1978, recante Norme per la tutela sociale della maternita' e sull'interruzione volontaria della gravidanza, sono stati praticati, secondo i dati in possesso del Ministero della salute, 6 milioni di aborti.
Il tentativo di ridurre il feto ad un insieme di cellule senza volontà, cioè senza esistenza, è stato smentito negli anni dallo sviluppo degli studi medici compiuti sull’embrione (il cuore di un concepito, ad esempio, pulsa dal 18° giorno di gravidanza).
La legalizzazione dell’aborto volontario, secondo taluni, sarebbe una conseguenza della visione liberale dello Stato. Nel nostro Paese, la legge n. 194 è entrata in vigore nel 1978 riscuotendo alla Camera 310 voti favorevoli e 296 contrari. In occasione del referendum del 17 maggio 1981 il popolo italiano venne chiamato a pronunziarsi sulla richiesta di abrogazione della legge che consentiva l'aborto volontario entro i primi novanta giorni dal concepimento e addirittura ne prevedeva il finanziamento statale: il 68% dei votanti si dimostrò favorevole.
Ciò dimostra che storicamente il sostegno all'introduzione nel nostro ordinamento giuridico di disposizioni contrari alla famiglia e volte a frantumare una organizzazione sociale fondata su di essa, è stato promosso non da liberali cultori di una laicità dello Stato ritenuta come baluardo del rispetto delle opinioni di ciascuno, ma da soggetti e gruppi oggettivamente riconducibili ad una forma di stato fortemente statalista, nella quale l'individuo, la singola persona, non ha un gran valore: è l'insieme, la massa di persone che conta, il singolo può essere anche sacrificato, in quanto le singole unità possono essere aggiunte alla società e al ciclo produttivo anche in seguito.
Ulteriori posizioni a sostegno della pratica dell'aborto è che questa ha posto fine alla piaga degli aborti clandestini. I dati ufficiosi rilevano dai 30.000 ai 50.000 aborti clandestini annui da decenni; ha garantito alla donna il diritto di scongiurare la possibilità di diventare madre a seguito di violenza sessuale; tutela la salute della donna. Tuttavia, la salute risente spesso negativamente dell’interruzione di gravidanza, tanto che diverse vittime di questa pratica vengono ricoverate nei reparti di psichiatria dei nostri ospedali. È stato accertato che in diversi paesi i sostenitori di questa tesi giustificativa sono finanziati da strutture sanitarie e da case farmaceutiche. A tal riguardo è stato calcolato che il costo minimo di un aborto in Italia è pari ad € 1. 500. Intenzione del disegno di legge in esame è quello di riconoscere il diritto di nascita alle concepite ed ai concepiti, introducendo, al contempo, interventi di carattere assistenziale e di accesso all’adozione, abrogando, in fine, la legge n. 194 del 1978.
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DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
(Finalità)
1. Lo Stato tutela il diritto alla nascita della concepita e del concepito.
Art. 2
(Dell'interruzione della gravidanza)
1. L’aborto volontario è consentito solo entro le 12 settimane di gravidanza, nei seguenti casi:
a) la gestazione possa minacciare la vita della madre o nuoccia gravemente alla sua salute;
b) grave e non curabile malformazione del feto incompatibile con la vita, che deve essere accertata e documentata da una Commissione composta da tre medici, nessuno dei quali dipendente o collaboratore della struttura sanitaria scelta dalla madre per l’eventuale interruzione di gravidanza. È esclusa dall'accertamento qualsiasi analisi inerente un ipotetico suicidio della madre in stato di gravidanza.
2. Nella ipotesi di cui al comma 1, lo Stato riconosce a ciascun operatore sanitario il diritto all’obiezione di coscienza. Tale diritto non è esercitatile qualora l'intervento sanitario, medico o infermieristico risulti necessario per salvaguardare la vita della madre.
3. La richiesta di interruzione della gravidanza è fatta personalmente dalla donna che la richiede.
4. È fatto divieto di autorizzare o richiedere l'interruzione volontaria della gravidanza come mezzo per il controllo delle nascite o di selezione.
5. L'interruzione della gravidanza è praticata da un medico del servizio ostetrico-ginecologico presso un ospedale generale tra quelli indicati nell'articolo 20 della legge 12 febbraio 1968, n. 132 , il quale verifica anche l'inesistenza di controindicazioni sanitarie.
6. Gli interventi possono essere altresì praticati presso gli ospedali pubblici specializzati, gli istituti ed enti di cui all'articolo 1, penultimo comma, della legge 12 febbraio 1968, n. 132 , e le istituzioni di cui alla legge 26 novembre 1973, n. 817, ed al decreto del Presidente della Repubblica 18 giugno 1958, n. 754, sempre che i rispettivi organi di gestione ne facciano richiesta.
7. L'accertamento, l'intervento, la cura e l'eventuale degenza relativi all'interruzione della gravidanza nelle circostanze previste dal presente articolo, ed attuati nelle istituzioni sanitarie autorizzate, di cui ai commi 5 e 6, rientrano fra le prestazioni ospedaliere trasferite alle regioni dalla legge 17 agosto 1974, n. 386 .
8. E’ vietata la vendita al pubblico del farmaco RU 486. Il farmaco è somministrato esclusivamente nei casi di cui al comma 1 dal personale medico delle strutture ospedaliere di cui ai commi 5 e 6.
Art. 3
(Della donna minore di età)
1. Qualora la donna sia minorenne, l'interruzione della gravidanza richiede l'assenso di chi esercita sulla donna stessa la responsabilità genitoriale o la tutela. Tuttavia, nei primi 90 giorni, il consultorio o la struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, se rileva seri motivi che impediscano o sconsiglino, nell'interesse della minorenne, la consultazione delle persone esercenti la responsabilità genitoriale o la tutela, oppure se queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, rimette entro 7 giorni lavorativi dalla richiesta una relazione motivata al giudice tutelare del territorio in cui esso opera.
2. Il giudice tutelare, entro 5 giorni lavorativi, sentita la minorenne e tenuto conto della sua volontà, delle sue ragioni e della relazione trasmessagli da uno dei soggetti di cui al comma 1, può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza.
3. Qualora il medico accerti l'urgenza dell'intervento a causa di un pericolo certo e imminente per la salute della minorenne, indipendentemente dall'assenso di chi esercita la responsabilità genitoriale o
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la tutela e senza ricorrere al competente giudice tutelare, certifica l'esistenza delle condizioni che giustificano l'interruzione urgente della gravidanza. Tale certificazione costituisce titolo per ottenere in via d'urgenza l'intervento e, qualora necessario, nell'interesse della salute fisica e psicologica della minorenne, il ricovero.
Art. 4
(Delle pene)
1. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 2, è punito con la reclusione da 4 mesi a 3 anni chiunque determini volontariamente un aborto mediante agevolazione o istigazione, o cagioni l’interruzione della gravidanza con azioni dirette a provocare lesioni alla donna. Alla stessa pena soggiace chi si procura o accetta di subire un aborto. Le pene sono aumentate se il fatto è commesso con violazione delle norme poste a tutela del lavoro. Chiunque cagiona l'interruzione della gravidanza senza il consenso della donna è punito con la reclusione da 4 a 8 anni. Si considera come non prestato il consenso estorto con violenza o minaccia ovvero carpito con l'inganno.
2. Qualora l'aborto provochi:
a) la morte della madre, si applica al reo la reclusione da 14 a 20 anni;
b) una lesione personale gravissima alla madre, si applica al reo la reclusione da 10 a 15 anni. La pena è diminuita sino alla metà se la lesione personale è grave.
3. Le pene sono aumentate sino a un terzo se la donna è minore di età.
4. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 326 del Codice penale, soggiace alle pene previste dall'articolo 622 del Codice la persona che, venuta a conoscenza per ragioni del proprio stato o ufficio, o della propria professione, divulghi notizie riservate idonee a rivelare l'identità della donna che ha fatto ricorso all’intervento abortivo.
5. Chiunque produca, detenga, importi, distribuisca o commercializzi sostanze che producano effetti abortivi a partire dal momento stesso del concepimento è punito con la reclusione da 3 a 5 anni, salve le ulteriori responsabilità previste dalla presente legge.
6. Chiunque cagioni senza alcun motivo alla madre un parto prematuro, ovvero per colpa, è punito con la pena della reclusione da 2 anni a 5 anni.
Art. 5
(Degli interventi a sostegno della gravidanza)
1. Lo Stato riconosce mensilmente ad ogni donna di cittadinanza Italiana residente stabilmente in Italia da almeno cinque anni, un contributo di € 250 dal terzo mese di gravidanza sino al sesto mese di vita del nascituro, da erogarsi, dopo il concepimento, secondo modalità stabilite con decreto del Ministro della salute e del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
2. In caso di aborto, o di mancata convivenza con il nascituro o la nascitura sino al 6 anno, il beneficio viene meno, e qualora sia stato già erogato deve essere restituito in un'unica soluzione, secondo modalità stabilite dal decreto di cui al comma 1.
3. Fermo quanto previsto dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, con il medesimo decreto, sentita la Conferenza Unificata, di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono disciplinate modalità agevolate di adozione a favore di nascituri.
Art. 6
(Disposizioni finali)
1. A decorrere dall'entrata in vigore della presente legge è abrogata la legge 22 maggio 1978, n. 194. Sono altresì abrogate tutte le disposizioni incompatibili con la presente legge.

giovedì 27 luglio 2017

La " FAMIGLIA" bene immateriale patrimonio dell'umanità UNESCO. Interrogazione parlamentare senatore Scilipoti Isgrò

INTERROGAZIONE  A RISPOSTA ORALE  IN ASSEMBLEA

AL MINISTRO   DEI  BENI E DELLE ATTIVITA’ CULTURALI E DEL TURISMO 

                

                  Premesso che:

- con legge del 27 settembre 2007 n. 167 è stata ratificata la “Convenzione  per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale” adottata a Parigi in data 17 ottobre 2003 in occasione della XXXII sessione della Conferenza generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura;
nella predetta convenzione è stata sottolineata l’importanza del patrimonio culturale immateriale in quanto fattore principale della diversità culturale e garanzia di uno sviluppo duraturo; pertanto scopi della convenzione  sono: a) salvaguardare il patrimonio culturale immateriale; b)assicurare il rispetto per il patrimonio culturale immateriale delle comunità, dei gruppi e degli individui interessati; c) suscitare la consapevolezza a livello locale, nazionale e internazionale dell’importanza del patrimonio culturale immateriale e assicurare che sia reciprocamente apprezzato; d) promuovere la cooperazione internazionale e il sostegno”;
 all’ Art. 2 della predetta convenzione viene data la definizione di “patrimonio culturale immateriale” riferito pertanto a: “ le prassi , le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how- come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi- che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale”. Si legge altresì nell’art. 2 della predetta convenzione: “ questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia  e dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana”
-In data 20 ottobre 2005 nel corso della XXXIII Conferenza Generale dell’UNESCO è stata approvata a Parigi la “Convenzione per la Protezione e la Promozione della Diversità delle Espressioni  Culturali”.  La Convenzione, ratificata dallo Stato Italiano con legge n. 19 del 19 febbraio 2007 ed entrata in vigore il 6.03.2007, è stata preceduta dalla Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale adottata a Parigi il 2 novembre 2001 durante la 31esima sessione della Conferenza generale dell’Unesco con la quale si è aperta la strada per l’approvazione di uno strumento giuridico internazionale  mirato a tutelare la molteplicità delle forme espressive della cultura. La cultura infatti nelle sue diverse forme, che assume nel tempo e nello spazio, costituisce un patrimonio comune dell’Umanità e deve essere riconosciuta e affermata a beneficio delle generazioni presenti e future (art. 1 dichiarazione Universale sulla diversità culturale)


La Convenzione è funzionale ad identificare, tutelare, proteggere e promuovere, tutte le espressioni di quelle entità plurime che contraddistinguono un territorio, un'area culturale storicamente determinata, per evitare un’omologazione ed un appiattimento culturale  e la conseguente scomparsa delle differenze tra le culture.

  Pertanto al fine di arricchire il patrimonio culturale dell’Umanità, si impone di  richiedere al comitato mondiale dell'UNESCO  di valutare l’inserimento della “FAMIGLIA” nella lista dei beni immateriali.

La predetta richiesta appare fondata in quanto l’Istituto “FAMIGLIA” soddisfa pienamente due dei 10 requisiti richiesti dall’UNESCO per il riconoscimento come bene immateriale patrimonio culturale dell’Umanità, quali:

- “essere testimonianza unica o eccezionale di una tradizione culturale o di una civiltà vivente o scomparsa”,

- “essere direttamente o materialmente associati con avvenimenti o tradizioni viventi, idee o credenze, opere artistiche o letterarie dotate di un significato universale e eccezionale” .

 L'istituto della Famiglia, mai come in questo momento storico rischia gravemente di non poter essere trasmessa integra alle generazioni future. Infatti con l'instaurarsi di nuovi modelli familiari è innegabile che detti modelli, proprio perché nuovi,  non hanno ancora né  sviluppato né costruito una loro tradizione culturale, etica, sociale, antropologica. Al contrario la famiglia, intesa nel senso generale del termine,  ha costruito nei secoli una testimonianza unica ed eccezionale per tradizione culturale.

 La “famiglia” che si intende valorizzare e tutelare attraverso l’inserimento nel Patrimonio dell’Umanità, come bene immateriale, è la Famiglia che conosciamo ormai da millenni perché direttamente associata ad avvenimenti legati ad idee, credenze ecc.  Essa è stata la prima società naturale ed è stata da sempre posta al centro della vita sociale. In ogni contesto storico sociale è stata riconosciuta la centralità e la responsabilità sociale della famiglia dove nascono e crescono i valori morali, religiosi e culturali e nella quale si tramandano, di generazione in generazione, i vincoli di sangue e le caratteristiche somatiche e genetiche.

Per completezza di esposizione, le ragioni giustificatrici che ci inducono a richiedere e pretendere che l'istituto della famiglia, nei suoi più vari e molteplici aspetti, storico, culturale, antropologico, sociologico e ambientale, vada tutelata per essere trasmessa alle generazioni future, sono legate proprio al fatto che è a grave rischio il fatto che la stessa potrà non essere trasmessa alle generazioni future per cui se ne perderà ogni traccia,  arrecando così grave nocumento alla storia della civiltà e della cultura mondiale.

 La “famiglia” oggi vive una ulteriore fase di crisi pur restando il primo e insostituibile

ambiente in cui inizia lo sviluppo umano mettendone in discussione la stessa tradizionale

identità.

 Evidenziato che:

  nei secoli vi è stata una trasformazione dell'Istituto della famiglia in quanto si è passati dalla famiglia patriarcale, in cui convivevano in varie forme allargate diverse generazioni (nonni, zii, genitori, figli, nipoti), tipica di un ambiente socio economico di carattere quasi esclusivamente agricolo, alla  famiglia nucleare, composta esclusivamente da genitori e figli, caratteristica di una società proiettata verso alti livelli di consumismo, nella quale lavorano entrambi i genitori. 

 In tempi recenti si è arrivati a nuovi modelli di famiglia (convivenze more uxorio) che al momento sono privi di una loro tradizione, tradizione che potranno acquisire solamente se il loro modello non verrà meno in futuro.

 L’Istituto della Famiglia, un istituto che ha costruito nei secoli la base fondante della società, nei suoi molteplici aspetti storici, culturali, antropologici e sociologici rischia ai giorni nostri di non  poter essere trasmessa integra alle generazioni future.

            Pertanto si chiede di sapere
 se il Governo non ritenga opportuno sostenere in sede UNESCO il riconoscimento della FAMIGLIA quale bene immateriale patrimonio dell’umanità, al fine di garantire alle generazioni presenti e future il valore storico, culturale, antropologico e sociologico che tale istituto ha avuto nella storia dell’umanità.

                                                                                                        Sen.  Domenico Scilipoti Isgrò                                   

Roma, 26/07/2017